Oltre gli stereotipi per uscire dagli sche(r)mi

di Gigi Tale

Oltre gli stereotipi per uscire dagli sche(r)mi

Oltre gli stereotipi per uscire dagli sche(r)mi


In questo numero di maggio, desideriamo offrire agli adulti che vivono e lavorano con i bambini alcune indicazioni di metodo e diverse prospettive utili a conciliare i bisogni dell’infanzia con la presenza, sempre più pervasiva, del digitale nelle sue molteplici forme. Riteniamo sia necessario, come suggerisce il titolo, non solo uscire dagli schermi, ma anche uscire dagli schemi: superare cioè luoghi comuni e semplificazioni che ancora oggi spesso condizionano la visione dell’infanzia e del suo rapporto con la complessità del mondo contemporaneo, un mondo in cui il digitale è parte integrante della quotidianità. Proviamo dunque a soffermarci su alcuni concetti e rappresentazioni che, nel tempo, hanno contribuito a consolidare una certa visione dell’infanzia in relazione al mondo digitale. 

1 . “Nativi digitali”: un’etichetta da superare

L’espressione “nativi digitali”, coniata nel 2001 dallo studioso Marc Prensky, ha avuto grande successo negli ultimi vent’anni. Viene spesso utilizzata per descrivere il rapporto tra bambini, ragazzi e nuove tecnologie, come se nascere in un mondo digitale significasse automaticamente saperlo abitare con competenza. Il problema è che questa definizione viene spesso usata in modo superficiale, quasi fosse una scorciatoia per spiegare la familiarità apparente che i più giovani mostrano con smartphone, tablet e social network. Ma le cose sono molto più complesse di come appaion. Nel 2012, Pier Cesare Rivoltella parlava di neuromitologia riferendosi ai cosiddetti “nativi digitali” descrivendolo come un termine suggestivo, ma privo di basi scientifiche solide. I cambiamenti reali a livello neuro-anatomico, infatti, richiedono tempi lunghissimi, dell’ordine di centinaia di migliaia di anni. Non si nasce quindi con un cervello “più digitale”, si diventa competenti attraverso esperienze, contesti e processi educativi. Anche Cosimo Di Bari, nel 2023, ha messo in discussione questa etichetta, definendola una costruzione più socio-culturale che tecnologica. In altre parole, parlare di “nativi digitali” rischia di diventare una comoda giustificazione per chi, adulti compresi, fatica a confrontarsi con una realtà in continua trasformazione. Una realtà che riguarda non solo i bambini e le bambine, ma anche le famiglie, le scuole, gli educatori e la società nel suo insieme. Superare la retorica dei “nativi digitali” significa, dunque, fare un passo avanti nella comprensione del rapporto tra infanzia e digitale, quindi smettere di semplificare e iniziare a costruire uno sguardo più attento, critico e soprattutto condiviso rispetto alla realtà in cui siamo immersi. 

2. La rapidità delle trasformazioni riferite al concetto di “competenza digitale”

Mettere da parte l’etichetta di “nativi digitali” ci aiuta anche a ripensare cosa intendiamo per competenza digitale. Spesso, infatti, viene ridotta a un insieme di abilità tecniche facilmente misurabili, trascurando la complessità del digitale e la sua dimensione culturale. Ma il modo in cui comunichiamo, scriviamo e condividiamo contenuti è cambiato profondamente con le tecnologie digitali, influenzando anche il nostro modo di pensare e apprendere. Per questo oggi è fondamentale sviluppare e riconoscere nuove forme di alfabetizzazione, che non si limitino all’uso degli strumenti, ma che abbraccino il digitale come parte integrante della nostra dimensione sociale e culturale. Il concetto di competenza digitale è cambiato molto nel tempo, seguendo l’evoluzione della società e dei media. Siamo passati dalla digital literacy, centrata sull’uso degli strumenti, alla media literacy, che considera anche la capacità critica e consapevole di leggere e interpretare i contenuti, fino ad arrivare oggi alla new media literacy, legata a una realtà sempre più fluida e interattiva. Questa trasformazione è stata recepita anche a livello istituzionale ed un esempio è il DigComp, il Quadro Europeo per le Competenze Digitali (oggi lo troviamo nella versione 2.2) che nel tempo è stato aggiornato per tenere il passo con i cambiamenti. Questo strumento definisce le competenze essenziali per i cittadini, di tutte le età, e aiuta a comprendere e valutare le competenze digitali necessarie per una partecipazione attiva alla società, quindi al lavoro e all’apprendimento, in un’ottica di life long learning

Tutto ciò dimostra che la competenza digitale è un insieme dinamico di conoscenze, pratiche e atteggiamenti. Per questo, riteniamo sia importante avere un’attenzione media educativa fin dalla nascita e ancora prima dei 6 anni. Questo significa sviluppare competenze digitali in modo naturale e pratico, permettendo ai bambini e alle bambine di fare propri atteggiamenti mentali e posture nei confronti del digitale che permettano loro di considerarlo un elemento, una possibilità tra le tante, il tutto senza mai sottovalutare i rischi di un uso non adeguato.

3. Dal concetto di “digital divide” a quello di “povertà educativa digitale”

Il termine digital divide nasce negli anni Novanta per descrivere le disuguaglianze nell’accesso alle tecnologie digitali e alle reti informatiche. Oggi, però, questo concetto viene sempre più spesso interpretato in una chiave qualitativa, oltre che quantitativa. Si distinguono tre livelli principali di divario digitale: il primo riguarda l’assenza di connessione a Internet e la mancanza di dispositivi adeguati; il secondo si riferisce alla carenza di competenze digitali, ovvero all’incapacità di utilizzare correttamente gli strumenti a disposizione; il terzo livello coinvolge chi, pur utilizzando frequentemente il digitale, ne fa un uso poco funzionale e quindi non riesce a trarre reali benefici o risultati concreti. Per questo motivo, nel contesto attuale, risulta più appropriato parlare di povertà educativa digitale. Questo concetto amplia la prospettiva, includendo non solo l’accesso alle tecnologie, ma anche le disuguaglianze nelle opportunità formative e nelle modalità di utilizzo consapevole e competente degli strumenti digitali.

In che modo pensare al digitale nella prima infanzia?

Nella fascia 0-6, come già abbiamo ribadito più volte, il digitale non può essere considerato una dimensione a sé stante, ma un elemento chiave legato a tutti gli altri della quotidianità, proprio perché ormai è trasversale sia al curricolo in tutti gli ordini e gradi di scuole, sia al tema educativo in senso più ampio. 

Quali sono gli obiettivi di utilizzo del digitale in una prospettiva pedagogica? 

  1. Stimolare la capacità di accrescere il sapere condiviso sugli effetti positivi o negativi rispetto ai bambini e alle bambine; 
  2. Conoscere i consumi mediali dei bambini e delle bambine. L’obiettivo non è quello di creare una lista di cose da vedere o da non vedere, ma di saperne di più rispetto a ciò che i più piccoli conoscono per capire su quali elementi si può lavorare per trasformare in possibili attivazioni creative e pedagogiche ciò che spesso viene, invece, vissuto in modo passivo; 
  3. Presentare il digitale come una possibilità, un’opportunità per sviluppare la creatività, per stimolare capacità espressive, generative e la fantasia; 
  4. Documentare e sviluppare le competenze narrative, favorendo la promozione verso l’esterno e nel territorio di una cultura dell’infanzia più ricca e coinvolgente. 

Un ultimo consiglio: promuovere l’attivazione è la scelta vincente!

Le ricerche evidenziano come, nella prima infanzia, sia auspicabile privilegiare attività educative e ricreative svolte all’aperto piuttosto che in ambienti chiusi. Gli studi dimostrano infatti che l’ambiente esterno stimola maggiormente l’attenzione, offre ai bambini una vasta gamma di esperienze esplorative e manipolative, e favorisce lo sviluppo motorio attraverso il contatto diretto con lo spazio fisico. In apparenza, tutto questo non sembra poter prevedere l’utilizzo del digitale, considerato da molti come l’antitesi dell’outdoor e del movimento. Sappiamo bene però, che l’educazione deve essere sempre capace di confrontarsi con logiche in apparenza contraddittorie, anche per avvicinarsi alla vita vera. Se ci pensiamo infatti, la realtà in cui viviamo non è suddivisa in compartimenti stagni, ma al contrario è una realtà complessa in cui tutto è profondamente interconnesso e i confini sono quasi impercettibili. 

Due esempi di attività in outdoor, che prevedano la convivenza di libertà e digitale, creatività, fantasia e sviluppo di pensiero critico possono essere: il Tinkering e il Digital Storytelling

L’attività di Tinkering è nata nell’ambito dell’educazione alle STEAM, e intreccia ed unisce analogico e digitale che diventano alleati. Lo scopo è realizzare oggetti di vario genere, utilizzando materiali di recupero. L’uso del digitale può diventare una scoperta continua, a patto di non usare app e di non stare “dentro lo schermo”, ma piuttosto utilizzare le funzioni base dei dispositivi più comuni (smartphone o tablet): torcia, fotocamera, registratore e archivio. 

Il Digital storytelling è invece una forma di narrazione che utilizza il digitale a supporto della creazione, per rendere le storie interattive, coinvolgenti e dinamiche. I media integrati sono diversi, in un’ottica non solo multimediale ma anche multimodale. 

In entrambi i casi, il punto di forza da sottolineare sono le infinite possibilità di creazione.

Il concetto di attivazione, quindi, non è solo “fare” o eseguire delle attività, ma piuttosto fa riferimento a verbi come creare, sperimentare, rielaborare e trasformare delle azioni che permettono di stimolare differenti competenze e sensibilità del bambino. La sfida per gli adulti che lavorano o vivono con i bambini e le bambine è esattamente questa: non subire passivamente, nè rimuovere acriticamente il digitale, ma piuttosto trovare modalità, contesti, tempi e spazi che permettano di utilizzarlo in modo consapevole e orientato. 

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