Bruno e Ramon, il dolore di due padri per i figli morti per giochi conosciuti online, l’educazione al senso critico e alla responsabilità

di Iole Galbusera

Bruno e Ramon, il dolore di due padri per i figli morti per giochi conosciuti online, l’educazione al senso critico e alla responsabilità



Due padri stravolti dalla perdita dei figli per giochi pericolosi conosciuti online, ma che nella testimonianza ad altri genitori, insegnanti ed educatori trovano la via per continuare l’amore per  il ragazzo che non c’è più. Il 6 febbraio, il CREMIT è intervenuto all’incontro promosso dall’IISFA (la maggiore associazione di informatica forense in Italia) all’Istituto Moreschi di Milano, significativamente intitolato “Per non morire di Internet. Riflessioni sulla Rete e consigli ai naviganti”.

Al centro dell’incontro, le storie di Igor Maj, 14 anni, e Pietro Allegra, 21, morti nel 2018 imitando giochi pericolosi trovati in Rete. Sono i papà – il sostituto procuratore e membro di IISFA Francesco Cajani introduce le loro parole come «testimonianza della gioia di essere padri, ottimi padri» – a raccontare. Inizia Bruno Allegra, e mentre parla scendono le lacrime a Ramon Maj che gli sta accanto. Poi prende la parola Ramon e la commozione investe Bruno. Si tengono per mano, quella dell’uno posata sulla spalla dell’altro. Li accomuna un fatto, forse il più tragico che possa capitare a un padre, ma anche la responsabilità di non tacere.

Il 6 settembre Igor Maj era incappato in un video di sfide pericolose per ragazzi. «Era uno degli ultimi giorni della vacanza d’estate – ha detto Ramon – a pranzo doveva andare dalla nonna e per il pomeriggio era già d’accordo con gli amici per andare agli allenamenti». In un momento in cui era da solo in casa aveva cercato su Youtube le parole “sfida, ragazzi”. Un diversivo, con leggerezza, senza pensare chissà che. Nel suo caso è partito un video, ora oscurato dalla magistratura, intitolato “5 Challenge pericolosissime che gli adolescenti fanno”. Pur criticandole, descriveva delle assurde “prove di coraggio”, spiegando come si realizzavano. Dal bere la vodka con gli occhi a passare i preservativi dalla narice alla bocca. La voce narrante spiegava: «Ci sono moltissimi giochi che diventano virali e di tendenza. Senza usare un po’ di testa, si rischia di finire molto male». Sottinteso: tu che hai la testa, puoi sfidare il limite. Ce la fai. L’adolescente ha provato quella chiamata “blackout”, lo “sballo di risorgere”, che provochi stringendo una corda. A 14 anni, Igor è morto strangolato da una delle corde che usava per le arrampicate in montagna.

È quello che è successo anche a Pietro Allegra di Brugherio (MI), soffocato a maggio per lo stesso motivo. Studiava, frequentava l’oratorio e gli scout. All’inizio circolarono voci, più o meno esplicite, che insinuavano che il ragazzo si fosse suicidato. Poi la scoperta: era morto cercando di replicare un eccesso descritto come “normale” in diversi siti. «Non è morto per disperazione o mancanza di speranza – dice suo padre Bruno – ma non è consolatorio. Non c’è niente che possa riportarlo in vita». Eppure la testimonianza riesce a trasformare le parole di quest’uomo dal dolore estremo ad un messaggio di speranza: «Senza criminalizzare la Rete – trova la forza di dire – dobbiamo raccontare quanto è successo, perché nessuno sia più costretto a vivere un’esperienza come questa».

Nella commozione un fatto colpisce durante l’incontro al Moreschi: si ascoltano due ottimi padri, attenti nei confronti dei figli e capaci di dialogo. Bruno racconta delle raccomandazioni quando Pietro prese la patente. Ramon trascorreva molto tempo con Igor (condividevano la passione per la montagna), con cui aveva parlato dei rischi (dalla droga ai selfie estremi) e aveva aperto un profilo Facebook proprio per conoscere il Web. Suo figlio era quanto di più lontano dallo stereotipo del ragazzo problematico: aveva amici, una bella famiglia e faceva sport. E anche questa normalità che colpisce docenti e genitori.

Anche Ramon Maj trova la forza di non criminalizzare la Rete: «È un fiume – aggiunge – che non si può fermare, ma in cui è importante imparare a nuotare». Lui in questi mesi ha parlato in più di una scuola: «Dio solo sa la fatica che si fa a raccontare tragedie così personali. D’istinto volevo solo fermare il tempo. Rimanere nascosto, immobile. Non fare passi avanti che potevano separarmi ancora di più dai giorni in cui mio figlio c’era ancora. Eppure lo sforzo vale la pena, se possiamo ridurre anche di poco il rischio di queste tragedie».

È il concetto su cui ha insistito anche il CREMIT, a nome del quale è intervenuto Stefano Pasta. «Sono questi – ha detto – i casi più estremi e tragici dello spettro della cyberstupidity, ovvero tutti quei comportamenti nell’ambiente digitale in cui non si valutano le conseguenze delle azioni». È una grande sfida educativa: «Occorre educare al senso critico e alla responsabilità, come il recente Curriculum di Educazione Civica Digitale del Ministero dell’Istruzione chiede a tutte le scuole italiane. Vuol dire imparare a valutare le implicazioni e le conseguenze di quanto facciamo online. Lo sviluppo di una piena cittadinanza digitale passa anche dalla capacità della scuola di accompagnare la complessità del cambiamento, piuttosto che marginalizzarne alcuni aspetti come semplici “rischi”.  La più grande agenzia educativa del Paese può aiutare gli studenti, e con essi i genitori, a costruire strategie positive per affrontare una disponibilità di tecnologie, di informazione e comunicazione senza precedenti».

Per approfondire:

La lettera aperta scritta da Bruno Allegra dopo la morte del figlio (Bruno Allegra con Francesco Cajani, sotto in foto)
L’articolo Due papà anti blackout. “Non cadete nella Rete, sul Corriere della Sera del 07/02/2019
L’articolo Bruno e Ramon: il racconto dei loro figli uccisi dalla Retesu Avvenire del 08/02/2019
Il servizio I pericoli del web. Ragazzini a rischio al minuto 4 dell’edizione delle 19.30 del TGR Lombardia di Rai3 del 6 febbraio
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