Convegno Sirem a Roma: le ricerche di Cremit

di Stefano Pasta

Convegno Sirem a Roma: le ricerche di Cremit

Convegno Sirem a Roma: le ricerche di Cremit


Dal 30 agosto al 1 settembre 2023 si svolge il convegno New Literacies. Nuovi linguaggi, nuove competenze della Società Italiana di Ricerca sull’Educazione Mediale (SIREM) presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma.

Il convegno intende riflettere sul mondo cambiato della comunicazione e dell’informazione. L’avvento delle piattaforme, la mediatizzazione diffusa, il protagonismo dei dati e dell’Intelligenza Artificiale sono tutti fenomeni che stanno trasformando in profondità il modo di produrre e di condividere conoscenza. Si avverte l’esigenza di definire nuove coordinate per la cultura e allo stesso tempo di verificare quali possano essere gli elementi su cui costruire un possibile nuovo umanesimo. La lezione della Literacy tradizionale non sembra bastare. Certo, i presupposti della responsabilità e della costruzione dello spirito critico sono sempre validi, ma diverse paiono essere le esigenze metodologiche e di conseguenza anche gli strumenti. Il contributo delle scienze del testo deve allargarsi al contributo delle scienze dell’informazione per costruire un nuovo approccio che sicuramente trova nell’analitica culturale (per dirla con Manovich) e nella strategia conversazionale di cooperazione tra uomo e macchina due degli spunti e delle prospettive di lavoro più promettenti. Qui si colloca l’esigenza di nuove Literacies. Questo non significa solo nuovi alfabeti, ma anche nuovi sistemi di competenze, nuove formae mentis, nuove epistemologie, da ultimo, nuove logiche educative e formative. Per la pedagogia e le didattiche si tratta di accettare una sfida che chiede di attivare passerelle dialogiche con le altre scienze, aprire nuovi spazi di riflessione, mettere a punto strumenti e dispositivi in larga parte inediti. 

I ricercatori di Cremit presentano diverse ricerce, di cui riportiamo gli abstract. Qui invece il Book of Abstracts dell’intero convegno.

Giochi e videogiochi per contrastare la disinformazione: esempi e proposte nell’ambito del progetto Yo-Media di Alessandra Carenzio, Simona Ferrari, Stefano Pasta

Introduzione
Sin dal febbraio 2020, nella prima fase della pandemia da Covid-19, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha indicato come uno dei problemi contemporanei l’“infodemia”, ossia un eccesso di informazioni, non sempre accurate, che rendono difficile orientarsi per la difficoltà di individuare fonti affidabili (Cavalcante et al., 2022). Da quell’anno un numero crescente di ricercatori si è concentrato sulla capacità di identificare notizie false (Yankoski et al., 2020), ha sottolineato il ruolo della disinformazione nella creazione di un clima ostile (Greene & Murphy, 2021), nell’alimentare complottismi e teorie cospiratorie (Santerini, 2023), in un quadro di “nuovi scenari per vecchie rabbie” (Pasta, 2021).
La forza di impatto delle diverse forme di disinformazione è aumentata dalla postverità, un regime discorsivo caratterizzato dalla forza di impatto delle emozioni e delle convinzioni personali di partenza piuttosto che dai fatti, e dalle sue conseguenze sul dibattito democratico (Nicita, 2021). Questi fenomeni, così collegati all’attuale ecosistema informativo, interrogano i professionisti dell’educazione (Pasta, 2018); in quest’ottica, considerando i consumi mediali dei più giovani, il presente contributo propone un affondo sui videogiochi nello scenario richiamato.
Come sottolinea l’editoriale di Willy C. Kriz (2020) pubblicato in Simulation
&Gaming
, «l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha cambiato atteggiamento nei confronti del gaming online, muovendo da un avvertimento diffuso rispetto alla connotazione di rischio e dipendenza verso il riconoscimento del valore positivo rispetto alla socializzazione e alla gestione dello stress durante la pandemia. Nel 2019 l’OMS ha definito la game addiction un segno di disturbo mentale, mettendo in guardia le persone contro lo sviluppo della dipendenza da gioco. Tuttavia, nel 2020, l’OMS ha chiesto alle persone di rimanere a casa e giocare. In uno sforzo congiunto, l’industria mondiale dei giochi ha partecipato alla diffusione di messaggi chiave per sostenere la consapevolezza e rallentare la diffusione di COVID-19» (2020, p. 2). Questo cambio, ricorda Kriz, ha portato al coinvolgimento diretto di più di 50 leader del settore del gioco e dell’intrattenimento interattivo con il lancio della campagna #PlayApartTogether, un’iniziativa che ha incoraggiato le reti di utenti a seguire le linee guida dell’OMS sulla salute (compreso il distanziamento fisico, l’igiene e altre azioni importanti per combattere e prevenire l’ulteriore inasprimento del virus).
Descrizione
Le domande di ricerca si muovono nello spazio del progetto Yo-Media
– Youngster’s Media Literacy in Times of Crisis portato avanti dal consorzio
composto dalla Associação Portuguesa de Imprensa, dal Media Competence
Center di Aveiro, dalla Universidade de Aveiro, dall’Università Cattolica del
Sacro Cuore e dalla Universitat de Vic – Central de Catalunya e finanziato dal Fondo europeo per i media e l’informazione della Fondazione Gulbenkian.
In che modo giochi e videogiochi possono sostenere lo sviluppo della competenza mediale – e della inforation literacy nello specifico – in un momento di crisi, segnato da disinformazione, confusione e la necessità di gestire lo stress? Quali sono le caratteristiche del videogioco più funzionali a costruire competenza mediale? Esistono buone pratiche ed esempi – sul mercato o nel campo educativo – che diventano riferimenti per la progettazione di nuove proposte per i ragazzi?
Il lavoro biennale è diviso in tre fasi: la mappatura delle iniziative di media
literacy in tempi di crisi, comprendendo l’analisi della letteratura sul tema dei giochi e dei videogiochi in tempo di crisi sanitaria, militare e climatica, una prima rassegna di proposte effettive già sviluppate (benchmark analysis) e le interviste a educatori, insegnanti e giornalisti impegnati in questo ambito; lo sviluppo e il testing di un gioco ibrido sulla media literacy per supportare la consapevolezza critica rispetto al ruolo dei media in tempo di crisi, insieme alla produzione di un MOOC sul tema; la valutazione della fattibilità delle strategie adottate.
In questo contributo, frutto dell’approccio interdisciplinare che lega esperti nel settore dei videogiochi e del sistema ludico e in quello della Media Education, vorremmo focalizzarci su alcuni esiti collocati nella prima fase del progetto, presentando: una rassegna di proposte videoludiche che riteniamo particolarmente interessanti per affrontare il tema dell’information literacy e prevenire la disinformazione; alcuni rilievi emersi sul valore del videogioco nel corso delle interviste agli stakeholder individuati; una parte dell’analisi della letteratura sul tema (giochi e videogiochi in tempo di crisi sanitaria, militare e climatica) che ha portato alla selezione di 46 contributi scientifici, principalmente in lingua inglese, pubblicati su riviste del settore dal 2019 (anno dello scoppio della pandemia) fino al 2023 (aprile).

Povertà educativa digitale: una rilevazione a partire dal nuovo costrutto di Michele Marangi, Stefano Pasta, Pier Cesare Rivoltella, Marco Rondonotti

Introduzione
Dal 2021 gli autori del contributo hanno proposto di utilizzare il nuovo costrutto di “povertà educativa digitale” per ampliare e attualizzare il concetto di “digital divide”. Tale fenomeno non è inteso unicamente come privazione dei dispositivi e di accesso alla Rete, e neppure come negata partecipazione alla didattica a distanza o didattica digitale integrata durante l’emergenza sanitaria. Si fa riferimento alla mancata acquisizione di competenze digitali, intese come nuovi alfabeti (Rivoltella, 2020) necessari nella società postmediale per analizzare la produzione e la fruizione dei diversi contenuti digitali da parte degli “spettautori” del social Web (Pasta, 2021).
In altri testi si è definito il costrutto (Pasta, Rivoltella, 2022a), discusso la
misurabilità del fenomeno (Pasta, Marangi, Rivoltella, 2021), presentato lo
strumento di rilevazione Punteggio di Competenza Digitale (PCD) (Marangi,
Pasta, Rivoltella, 2022) e, sullo stesso campione, indagato le caratteristiche
dei minori per i quali la condizione di povertà educativa non coincide con
quella di povertà educativa digitale (Marangi, Pasta, Rivoltella, 2023).
Nel convegno nazionale Sirem 2022 sono stati presentati i primi dati di una
rilevazione su 1.976 studenti di 112 classi in 39 scuole secondarie di I grado di tutta Italia, svolta nell’ambito del progetto Connessioni Digitali (2021-2024) realizzato da Save the Children insieme al Cremit dell’Università Cattolica e alla cooperativa sociale Edi onlus. Questo contributo presenta una nuova rilevazione, realizzata con i medesimi strumenti, su 6.598 rispondenti di 100 scuole secondarie di I grado (classe II) in 72 differenti città distribuite in 17 regioni italiane. Si indicheranno elementi di continuità e discontinuità tra le due rilevazioni, individuando le tendenze che possono contribuire a precisare il costrutto di “povertà educativa digitale”.
Descrizione
Il concetto di povertà educativa digitale è l’esito dell’ibridazione di due
prospettive con cui declinare la competenza digitale: quella “dei diritti”
(Digital Competences 2.1 e 2.2) e quella delle “New Literacies” (Rivoltella,
2020), più attenta alla dinamicità e alla transdisciplinarietà delle competenze (Buckingham, 2020) e al concetto delle Dynamic Literacies (Potter, McDougall, 2017). In quest’ottica il PCD è calcolato su 12 indicatori afferenti alle quattro dimensioni dell’apprendimento: per comprendere (conoscenza tecnica; regole; filtrare dati, informazioni e contenuti digitali), per essere (creatività digitale; competenze narrative; proteggere l’identità digitale), per vivere assieme (netiquette e cyberstupidity; logiche algoritmiche; sapere collaborativo), per una vita autonoma e attiva (cittadinanza: usare il web per buone cause; condividere informazioni; capacità critica). Si evince, dunque, come al primo ampliamento da “divario digitale” a “povertà educativa digitale” corrisponde il passaggio da “Educazione Digitale” a “Cittadinanza Onlife” (Pasta, Rivoltella, 2022b).
La seconda parte del PCD prevede un test di 30 domande con cui i partecipanti possono ottenere un valore tra 0 e 12, corrispondenti ai 12 indicatori delle quattro aree – ciascuna, dunque, con un punteggio tra 0 e 3 punti – apprendere per comprendere, per essere, per vivere assieme, per una vita autonoma e attiva. Questi dati verranno, da un lato, incrociati con le varianti socioculturali ottenute dal questionario che costituisce la prima parte del PCD (genere, aree geografiche, povertà educativa, capitale culturale, rendimento scolastico, origine nazionale, disponibilità di dispositivi e rete internet veloce, presenza di regole in famiglia, abitudine all’uso di strumenti e alle pratiche digitali a scuola e nell’extrascuola); infine, il PCD ottenuto dai minori verrà analizzato per individuare quali aree e quali indicatori rilevano maggiori competenze e più accentuate criticità.

Dentro Black Mirror: la serialità per promuovere la media literacy nei contesti educativi di Alessandra Carenzio, Elisa Farinacci

Introduzione
Quando oggi guardiamo all’offerta di prodotti audiovisivi di un qualunque
servizio (sia esso la tv broadcast o una piattaforma on demand), essa sembra invasa dalla serialità televisiva. Anche se questo genere di produzioni ha avuto un’impennata negli ultimi decenni, le sue origini risalgono a un paio di secoli fa: è nel XIX secolo che la narrazione seriale diventa una modalità privilegiata di narrazione popolare. Dai feuilleton ai fumetti e ai film a puntate, dalle commedie radiofoniche alle serie televisive, ai videogiochi, le narrazioni seriali si sono rivelate un mezzo efficace per attrarre e coinvolgere il pubblico.
La narrazione seriale è un prodotto culturale ovvero un «luogo di sedimentazione, di espressione, di diffusione e di rafforzamento di conoscenze, credenze, atteggiamenti, valori, norme propri di una società o di una sua produzione» (Colombo ed Eugeni, 2001; 28, Cfr. Innocenti e Pescatore, 2012). In questo senso si tratta di un meccanismo narrativo che influisce sul modo in cui la società fruisce delle storie.
Negli ultimi anni anche la scuola e le istituzioni educative si sono avvicinate ai media audiovisivi, facendo emergere la necessità di costruire percorsi
formativi per insegnanti ed educatori e la volontà di incrociare le diete mediali degli adolescenti al tempo delle piattaforme.
Alla luce di questa premessa, uno dei casi di serialità televisiva più discussi
è rappresentato da Black Mirror (Bennato 2018; Garofalo 2017), una science
fiction britannica organizzata in episodi autoconclusivi che si muovono nello spazio del rapporto tra uomo e tecnologia in un futuro possibile. Creata da Charlie Brooker, la serie tv dischiude orizzonti narrativi e sociali e riflette alcune istanze della contemporaneità legate alla cultura digitale. Grazie all’ambiguità e alla indistinguibilità tra realtà e fantascienza, Black Mirror consente di ragionare e indagare alcune delle questioni più pregnanti dei nostri tempi: essere o apparire al tempo dei social media, condividere il proprio mondo privato per solitudine, piacere o incapacità di gestire lo spazio relazionale, la stupidità digitale, il controllo genitoriale attraverso app e software, i media indossabili come parte del nostro vissuto quotidiano.
Con quali attenzioni possiamo raggiungere i contesti dell’educazione e della scuola, partendo proprio dalle trame della serialità? Come può Black Mirror
attivare percorsi educativi che vanno a intersecare gli interessi sia della Media Literacy che dei linguaggi audiovisivi?
Descrizione
Se si avverte la volontà da parte di molti insegnanti, degli adulti di riferimento e degli educatori di portare la cultura popolare in classe e in aula, come modo per “sintonizzarsi”, ecco che testi mediali come Black Mirror possono aprire a interconnessioni con una molteplicità di tematiche.
Attraverso lo specifico caso di Black Mirror, il contributo vuole offrire riflessioni teoriche e attività pratiche da svolgere in classe, negli spazi educativi e nei luoghi di incontro con i ragazzi, toccando tematiche che spaziano dall’utilizzo dei social media alla cittadinanza digitale, alla problematizzazione delle dinamiche legate alle industrie mediali, ma anche all’analisi del linguaggio audiovisivo e alle potenzialità delle narrazioni distopiche, solo per citarne alcune.
L’intenzione del lavoro è quella di: riflettere su alcune tematiche cruciali
che la serie sollecita a livello educativo e di analisi critica; ripercorrere le potenzialità degli audiovisivi nello spazio dell’educazione e della scuola; fornire esempi e sceneggiature d’uso attraverso schede didattiche pensate per il confronto con gli adolescenti e i giovani, oltre che con il proprio campo culturale e visivo.
Dal punto di vista metodologico, la proposta combina due sguardi, quello
tipico dei delle Scienze dell’Educazione e quello dei Media Studies, con due
affondi: il primo si riferisce all’uso educativo della serialità attraverso la selezione di alcuni episodi di Black Mirror come “mediatori” e stimolo per la riflessione (uso asistematico); il secondo al linguaggio audiovisivo di Black Mirror e al suo funzionamento all’interno dell’ecosistema mediale contemporaneo (Buckingham 2020).
In questo preliminare approccio interdisciplinare, la serie agisce come termometro dell’odierno contesto mediale e come sfida ai contesti educativi. La prospettiva futura vorrebbe sperimentare le sceneggiature didattiche proposte, raccogliendo dal campo suggerimenti e dati per ulteriori sviluppi, e allo stesso tempo costruire un modello esportabile ad altri prodotti e contesti mediali.

Hate speech online: il coinvolgimento dei gruppi bersaglio dell’odio e la teoria del cambiamento attraverso la Media Literacy di Stefano Pasta

Introduzione
Negli ultimi anni sia la ricerca accademica (Schweppe, Perry, 2022) sia la riflessione socio-culturale, educativa e politica (Guillén-Nieto, 2023; Santerini, 2023) si sono soffermate sull’hate speech, il discorso d’odio e le flame wars, le fiammate con cui, soprattutto nel web sociale, sono presi di mira gruppi o singoli eletti a bersaglio perché simbolo di una determinata posizione, comportamento, o fragilità; uno degli esiti di questi studi e dibattiti è la nuova definizione di hate speech adottata dal Consiglio d’Europa nel maggio 2022 (CM/Rec2022-161).
In altre ricerche sono stati analizzati il fenomeno e la rilevanza dell’ambiente digitale (Pasta, 2018), l’interpretazione di conversazioni con adolescenti e giovani che avevano coprodotto discorsi d’odio online (Pasta, 2019), le possibili risposte mediaeducative (Pasta, 2021a), alcuni casi-studio di rilevazione (detection) dell’hate speech coniugando automatismi algoritmici e valutazione qualitativa (Pasta, 2021b, 2023), la proposta di uno spettro dell’odio online anche a fronte delle difficoltà di determinarne i contorni a livello sociale o giuridico (Pasta, 2022); queste ricerche sono state applicate a specifiche forme di “pensiero prevenuto”, quali il razzismo (Pasta, 2021c), l’islamofobia (Pasta, 2020a), l’antisemitismo (Pasta et al., 2021), l’antiziganismo (Pasta, 2023), il sessismo (Pasta, Santerini, 2021), i diversi bersagli durante la pandemia da Covid-19 (Pasta, 2021d), l’intersezionalità (Pasta, 2021e).
In questa sede, spostando l’attenzione su una prospettiva attenta al ruolo
delle potenziali vittime (James, McBride, 2022), ci si focalizza sull’attivazione e la partecipazione di giovani e gruppi potenzialmente eletti a bersaglio in forme di contronarrazione e narrazione alternativa all’hate speech.
Descrizione
Si analizzeranno, da un punto di vista metodologico, tre progetti di contrasto all’odio online (in particolare antisemitismo, islamofobia, antiziganismo e sessimo) attraverso il coinvolgimento dei gruppi giovanili di minoranze eletti a bersaglio e la valorizzazione delle logiche partecipative, inclusive e creative dei media digitali. Si tratta di tre progetti, realizzati dal Centro di Ricerca sulle Relazioni Interculturali dell’Università Cattolica, che saranno analizzati secondo una teoria del cambiamento attraverso la Media Literacy applicata all’ecosistema informativo attuale. In questa teoria del cambiamento, mutuata da Julian McDougall e Isabella Rega (2022), gli ecosistemi mediatici – locali, nazionali, o di dimensioni più ampie – sono intesi come «sistemi dinamici di relazioni tra vari attori, processi e strutture che influenzano il modo in cui i contenuti dei media vengono generati, condivisi, consumati e utilizzati» (BBC Media Action, 2021, p. 2). Il cambiamento si verifica quando la Media Literacy lavora su tutte e quattro queste variabili: accesso, consapevolezza, capacità e conseguenze; è un’impostazione che conferma la necessità di sganciare un possibile modello di efficacia della Media Literacy dall’applicazione universale di un sistema di competenze che prescinda dai contesti; non si pensa così al “travaso” di competenze digitali in modo individuale, ma piuttosto all’alfabetizzazione mediatica in termini collettivi.
Il contributo si concentrerà sul coinvolgimento dei gruppi giovanili, in
particolare di gruppi appartenenti alle minoranze ebraica, romanì e musulmana, indicando alcune attenzioni metodologiche e inquadrando il contrasto all’odio online tra i “nuovi alfabeti” (Rivoltella, 2020) per la “cittadinanza onlife” (Pasta, Rivoltella, 2022) e tra le competenze interculturali al tempo del web sociale e del nuovo ecosistema informativo (Pasta, 2020b).

Indagare le aspettative sulla Robotica Educativa. Un caso studio con docenti della Scuola Primaria di Federica Pelizzari

Introduzione
Il contributo indaga le aspettative e le preconoscenze degli insegnanti riguardo la robotica educativa, approfondendo il ruolo che la robotica educativa ha per i docenti sul processo di apprendimento, di comprensione e di risoluzione dei problemi da parte degli studenti.
Nello specifico, il tema verrà affrontato a partire dall’esperienza condotta
nell’ambito di alcune Scuole Primarie.
Descrizione
La robotica educativa è una disciplina che combina concetti di robotica ed
educazione allo scopo di insegnare agli studenti competenze legate alla programmazione, alla logica, alla risoluzione dei problemi e al lavoro di squadra, utilizzando robot come strumenti di apprendimento.
Questa pratica educativa promuove la partecipazione attiva degli studenti
nella creazione, progettazione, costruzione e programmazione dei robot,
consentendo loro di sperimentare in modo pratico e tangibile i concetti teorici appresi in classe.
La robotica educativa può essere implementata a diversi livelli di istruzione, dalla scuola primaria all’università, portando gli studenti a lavorare in piccoli gruppi per risolvere problemi e affrontare sfide e sviluppando abilità cognitive, emotive e sociali in modo giocoso e motivante.
La robotica educativa offre numerosi vantaggi agli studenti: promuove il pensiero critico e il ragionamento logico, migliora le abilità di problem solving e stimola la creatività e l’innovazione. Inoltre, aiuta a sviluppare competenze, come la capacità di progettazione e costruzione, e rafforza anche le abilità sociali e di comunicazione attraverso il lavoro di squadra e la collaborazione. L’esperienza pratica e coinvolgente con i robot offre
molte opportunità per l’apprendimento multidisciplinare e l’acquisizione di
competenze trasversali che sono preziose per il futuro personale e professionale degli studenti. L’implementazione della robotica educativa, però, richiede un approccio adeguato che tenga conto delle loro capacità cognitive, abilità motorie e livello di comprensione [9], essendo l’obiettivo principale dell’implementazione della robotica educativa con i bambini quello di creare un ambiente di apprendimento stimolante.
Esistono diverse piattaforme e kit di robotica educativa disponibili sul
mercato che consentono agli studenti di costruire e programmare robot in
modo semplice. Questi strumenti forniscono una solida base per imparare i
fondamenti della robotica e della programmazione, ma senza un adeguato apparato di progettazione didattica non riescono a portare ad un apprendimento significativo e allo sviluppo di competenze generalizzabili.
In questo scenario, è stato condotto un caso di studio all’interno delle
Scuole Primarie dell’Istituto Comprensivo Valle del Chiese, con un gruppo
di 63 docenti.
La ricerca si è posta l’obiettivo di indagare le aspettative educative e didattiche che i docenti hanno circa la robotica educativa e la sua implementazione con gli studenti, in vista di una successiva formazione insegnanti estesa a tutti i docenti.
Le domande di ricerca che hanno guidato l’obiettivo sono state quindi:
– Quali aspettative hanno i docenti rispetto all’apprendimento e allo sviluppo di competenze con la robotica educativa?
– Che evidenze si aspettano di osservare nel momento in cui la robotica
educativa viene inserita nelle lezioni e attività?
Per rispondere a queste domande è stato erogato un questionario a tutti
i docenti coinvolti con sia domande chiuse che domande aperte. Il presente
contributo restituisce una prima parte della ricerca e una prima raccolta dei dati collezionati, analizzati in modo descrittivo.

ESL&Physical Education in High School. A Proposal for a Quasi-Experimental Study di Maria Cristina Garbui, Alejandro Quintas-Hijós,
David Maria Rivoltella, Lorena Latre-Navarro, Pier Cesare Rivoltella

Introduction
In an onlife context (Pasta & Rivoltella, 2022), students are challenged by
a dynamic reality in which digital media work as connective tissue since augmented reality appears in everyday actions. It allows for investigating the relationship between motor activities, executive functions and exergames from an operational and meta-reflexive perspective (Garbui & Rivoltella, 2023).
In a constantly evolving world, we must consider the role of the body in
learning, as indicated by the recent approach to embodiment. An Episode of
Situated Learning (ELS) methodology (Rivoltella, 2014) allows for uniting
the didactic design with the point of view of the embodied cognition paradigm of the cognitive sciences. On the other hand, physical education is one of the school disciplines where more and better can be learned with the body.
Current scientific evidence suggests a strong relationship between pragmatic-motor skills and executive functions (Barenberg et al., 2011).
Digital technology can enhance teaching and learning, but how must it be studied? The BlazePod is a digital motor game aimed at stimulating the player’s motor skills, and its psychological effects have been studied in physical education school contexts (Quintas, 2020). In order to gain a more comprehensive understanding of this technology’s effects on executive function variables, further information is necessary. In particular, this research focuses on inhibitory control (Houdé, 2020) and working memory. Inhibitory control allows adaptation to changes and choosing information for a response; working memory keeps information active and manipulates it for short-term goals. Additionally, it is essential to integrate this information into ESL didactics for optimal results effectively.
Several studies request studying the psychological effects of didactics
more rigorously on education, indicating the limitations of empirical research into education, such as its dominant application to colleges, lack of comparative groups or validity of measures (Dichev & Dicheva, 2017). More experimental empirical research is needed to complement theoretical approaches, especially in formal education contexts (Quintas, 2022).
For all these reasons, the objective of this proposal has been to design
the scientific method and the educational intervention to cover the research
needs, as well as to study the theoretical compatibility with the actual practical interventions. Specifically, we want to share a quasi-experimental research design based didactically on ELS, psychologically on the embodiment, digitally on augmented reality with the BlazePod, and curricularly on school physical education.
Scientific design
In order to investigate the effectiveness of this new educational approach,
a natural experiment will be conducted with two groups – experimental and control. This study will take place during the last four years of high school in Varese (Italy) and Huesca (Spain), using a non-randomised controlled design.
The study will involve pre- and post-measurements taken five weeks apart.
The experimental group (n of expected sample=90, Varese, Italy) will participate in an 8-hour educational program ESL method with BlazePod exergame.
Three motor activities connected with three phases of ESL – anticipation,
production, and metariflexion – will explore executive functions like inhibition and working memory during each hour-long physical education intervention.
Meanwhile, the control group (n of expected sample=80, Huesca, Spain)
will receive 8 hours of conventional physical education classes.
Participants will complete the Basic Psychological Need Satisfaction and
Frustration Scale (Chen et al., 2015) and the Motor Initiation, Sequencing,
and Inhibition Scale (Chen et al., 1995). The reliability of the measurements
will be measured with Cohen’s d statistic, the outliers will be removed, and
student’s t-tests will be applied for independent samples, as well as ANOVAs.Several covariates, such as gender and prior academic performance, will be considered for potential influence on executive functions or basic psychological needs.

La realtà aumentata come terzo spazio: studio preliminare di una revisione sistematica di Giorgia Mauri

Introduzione
Nell’ambito di ricerca dell’educazione e, nello specifico della Media Education, la Realtà Aumentata (da adesso in poi AR) è considerata come un
dispositivo in grado di legare realtà reale e realtà virtuale e di potenziare il
rapporto tra esperienza fisica ed esperienza digitale.
In tal senso, se la virtualizzazione ha sempre più a che fare con l’immersione dell’utente in un nuovo universo di dati che provengono dallo spazio virtuale e contemporaneamente appartengono allo spazio reale, la AR diviene un dispositivo che permette di costruire un sistema di relazioni e saperi che va oltre la semplice estensione della realtà data e permette di ricostruire il significato delle dimensioni critica, etica e estetica della New Literacy.
L’apprendimento assume così una nuova forma: estesa, sia nello spazio,
che nelle possibilità di creare nuovi contenuti culturali per ricostruire nuove dimensioni della New Literacy.
L’AR può fungere da terzo spazio di apprendimento per l’educazione
alla New Literacy? La ricerca prende le mosse da questa domanda per elaborare una revisione sistematica della letteratura che investighi (I) l’uso della AR all’interno di terzi spazi, (II) l’uso della AR stessa come terzo spazio e (III) il suo impatto sull’educazione, la didattica e l’apprendimento.

Descrizione

La revisione sistematica si focalizza sulla relazione tra la realtà aumentata e i terzi spazi di apprendimento. L’obiettivo sarà quello di investigare l’uso della AR all’interno di terzi spazi di apprendimento e/o come terzo spazio di apprendimento, prendendo le mosse dall’individuazione della domanda di ricerca: “L’AR può fungere da terzo spazio di apprendimento per l’educazione alla New Literacy?”. Facendo riferimento al modello PRISMA [8], sono state selezionate le seguenti parole-chiave: “augmented reality”, “third space”, “education”, “informal”, “non-formal”; inserite all’interno dei database selezionati: Scopus, Web of Science e Google Scholar. I contenuti sono stati selezionati in lingua inglese e in lingua italiana all’interno del periodo di tempo definito tra l’anno 2017 [1] e l’anno 2023. La ricerca è stata sviluppata utilizzando le seguenti stringhe di ricerca: (I) Scopus: (LANGUAGE ( italian OR english ) AND TITLE-ABS-KEY ( “augmented reality” ) AND TITLE-ABS-KEY ( “education” ) AND TITLE-ABS-KEY ( “third space” OR “informal” OR “non-formal” ) ) AND PUBYEAR > 2017 AND PUBYEAR < 2023 AND ( LIMIT-TO ( OA , “all” )); (II) Web of Science: ((((PY=(2017-2023)) AND LA=(Italian OR English)) AND TS=(“augmented reality” AND “education”)) AND TS=(third space OR informal OR non-formal)); (III): Google Scholar: “third space” OR “informal learning” OR “informal education” OR “non formal learning” OR “non formal education” “augmented reality” -review -”systematic review” -framework -curricula -”state of art” -”state of the art”. La stringa di ricerca in Google Scholar è stata costruita a partire dai criteri di inclusione e di esclusione individuati per Scopus e Web of Science. L’intervallo di tempo (tra il 2017 e il 2023), al contrario, è stato selezionato manualmente sulla lista dei risultati. A seguito dell’individuazione di risorse attraverso le tre stringhe di ricerca, sono stati rintracciati: (I) 16 risultati in Scopus; (II) 18 risultati in Web of Science; (III) 488 risultati in Google Scholar; per un totale di 522 risultati. Dai tre database sono state incluse le ricerche empiriche e/o teorico-empiriche e le ricerche coerenti con l’AR e i terzi spazi di apprendimento. Sono stati, invece, rimossi i duplicati, le ricerche puramente teoriche e/o sullo stato dell’arte, le revisioni sistematiche, le progettazioni di prototipi (applicazioni, strumenti, metodi), le progettazioni di framework o curricoli e le risorse non coerenti con la realtà aumentata e con i terzi spazi di apprendimento.

Educare (al)l’Intelligenza Artificiale. L’uso di ChatGPT in azienda di Maria Cristina Garbui, Michele Norscini, Marco Amicucci

Introduzione
Nell’indagine contenuta nel Future of Jobs Report del 2023 proposto dal
World Economic Forum si afferma che per il 42% delle aziende intervistate
la formazione dei lavoratori all’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale e dei Big
Data (Cai&Zhu, 2015) si colloca al terzo posto tra le priorità, dopo lo sviluppo del pensiero analitico e la promozione del pensiero creativo, configurandosi come investimento prioritario per i prossimi cinque anni.
L’IA (Intelligenza Artificiale) è parte integrante della rivoluzione di natura
tecnico-economica (Kaplan, 2018) in atto, in quanto si pone come elemento trasformativo sia nel mondo lavorativo sia nel tessuto sociale e culturale
(Panciroli&Rivoltella, 2023).
Da una parte, quindi, l’IA si pone in dialogo con l’umano (Floridi, 2022)
provando a rispondere alle richieste e a suggerire strategie possibili a problemi che vengono posti così da apprendere, migliorare e collaborare nella dinamica di interazione che adotta l’approccio human centred (Shneiderman, 2022).
D’altra parte, l’uomo viene indotto ad avviare processi di apprendimento basati sulla ricerca esplorativa (Lombardi&Macchi, 2016) in cui matura l’abilità di collaborare con l’IA in modo sempre più integrato ed efficace, utilizzandola come strumento di lavoro, ricercando soluzioni adeguate a problemi, di natura anche improbabile, e generando spazi e tempi di esercizio di creatività. Si tratta, dunque, di conoscere «sia le basi teoriche e tecnologiche, sia il volto culturale e sociale dei nuovi media» (Ciotti & Roncaglia, 2008, p. VII) per entrare in relazioni che siano generative.
Quale linguaggio adottare per comunicare con i tool di IA all’interno di un
contesto aziendale in ottica formativa e formatrice? In molti casi, le soluzioni di IA sono profondamente integrate nelle applicazioni aziendali dell’organizzazione, fornendo raccomandazioni e previsioni ed influenzando i processi decisionali. È quindi essenziale garantire che l’IA fornisca soluzioni responsabili, affidabili ed etiche: un processo di revisione continuo è la base per assicurarsi che la soluzione proposta dal tool rimanga allineata agli intenti aziendali e ai valori dell’organizzazione. Come educare, quindi, l’IA al linguaggio e alla mindset aziendale per ottenere degli output coerenti, validi e spendibili che tengano conto delle linee guida etiche (WEF, 2023) proprie dell’azienda formativa in cui si è chiamati ad operare?
Il presente contributo vuole indagare le modalità d’uso dell’Intelligenza
Artificiale generativa di OpenIA finalizzata alla text generation nota come
ChatGPT (Chat Generative Pre-trained Transformer) in un contesto aziendale che si occupa di formazione. Le domande di ricerca che il presente lavoro si è posto sono le seguenti: come avviene l’interazione con ChatGPT da parte dei dipendenti durante l’orario lavorativo? Come viene percepito l’impatto connesso all’uso di tool di IA nel proprio ruolo aziendale? Quali competenze (European Commission, 2020) diventano necessarie in una transizione tecnoeconomica in campo formativo (Communication Artificial Intelligence for Europe, 2018) per dialogare in modo efficace con ChatGPT?
Descrizione
A titolo di ricerca, nel mese di maggio 2023 ha preso avvio la prima fase
di uno studio sull’utilizzo di ChatGPT nel contesto aziendale, in particolare
sono state indagate la frequenza di utilizzo del tool, gli scopi, le modalità di
interazione con ChatGPT e di verifica delle informazioni ricevute nel corso
della giornata lavorativa.
Per la raccolta dei sono stati utilizzati due strumenti: un questionario iniziale e un form in cui inserire cinque conversazioni avvenute con Chat GPT.
Il questionario iniziale, composto da undici domande (nove a risposta multipla e due a risposta aperta), ha definito il campione di riferimento (età, sesso, anni di lavoro nel campo della formazione, area aziendale di riferimento,
principali mansioni lavorative svolte) e ne ha indagato alcuni aspetti legati
all’interazione con ChatGPT (frequenza di utilizzo, scopi di utilizzo, frequenza nella verifica delle informazioni, grado di soddisfazione dell’interazione e modalità di approfondimento dell’utilizzo del tool). I dati quantitativi che emergeranno verranno analizzati secondo criteri che mirano ad individuare l’esistenza di relazioni di causa-effetto tra le caratteristiche della popolazione oggetto di studio.
Nel form è stato richiesto di inserire cinque conversazioni avute con Chat
GPT distribuite nel tempo, nello specifico una delle prime conversazioni, due conversazioni intermedie, una con esito di interazione giudicato positivo ed una con esito negativo e due conversazioni recenti, anche in questo caso, rispettando il criterio dell’esito di interazione. Le conversazioni saranno analizzate con un approccio fenomenologico (Bevan, 2014) e categorizzate secondo criteri stabiliti in base alle necessità di ricerca espresse, quali destinatari, tipologia e scopo della richiesta formulata al tool di IA.
Da una prima analisi del questionario iniziale e del form delle conversazioni, a cui attualmente ha risposto il 10% del campione totale, è emerso che Chat GPT viene interpellata per scopi e con modalità differenti in base all’area aziendale da cui l’utente afferisce. Al momento il campione analizzato utilizza principalmente Chat GPT per richieste legate alla modellizzazione, alla riscrittura e alle traduzioni di testi; alla ricerca di spunti per stendere titoli, descrizioni e contributi inerenti ad attività di progettazione e implementazione di corsi di formazione aziendale. La principale funzione di ChatGPT emersa è quella di essere uno strumento di supporto e dialogo generativo. Ci si auspica di definire ulteriormente i risultati della ricerca dopo aver raccolto le risposte dell’intero campione.
In conclusione, questo lavoro di ricerca vuole accogliere la sfida delle
macchine nel campo dell’apprendimento, valorizzando il talento del nostro
cervello che impara ad utilizzare nuovi linguaggi e strategie efficaci per educare l’IA, nel confronto con l’IA stessa.

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