[Diario dal Brasile] Identità, immagine e tre messe – 3° puntata

di Stefano Pasta

[Diario dal Brasile] Identità, immagine e tre messe – 3° puntata

[Diario dal Brasile] Identità, immagine e tre messe – 3° puntata


di Matteo Mancini, studente Laurea Magistrale in Media Education
Traduzione in portoghese di Enrica Ranno, educatrice territoriale

(Qui il link alla 1° Puntata)

(Qui il link alla 2° Puntata)

(Qui il link alla 4° Puntata)

Giovedì sera salivamo.

Nel Morro de Mocotò la salita è molto ripida e le abitazioni sono disseminate per ogni piccolo spazio libero a ricoprire un terreno friabile, a tratti fangoso e poco in piano. In questa salita agli inferi ogni girone ci racconta una storia, ogni persona che si incontra nel buio si confonde con i muri graffittati. Ogni tanto qua e là si sentono voci, si accendono luci, si cantano canzoni funky. La vita brulica come in un formicaio coperto, un gruppo di ragazze negli angoli fumano marijuana.

Per la salita alla collina non siamo mai soli. Sciami di cani randagi costeggiano i nostri passi e fuggono come piccioni in piazza al minimo rumore. La spazzatura calpestata si appiccica alla suola in gomma degli infradito e l’odore forte si mescola alla soffocante umidità serale. Una signora ci affianca, ha tre enormi cista sul petto e i suoi capelli sono corti, secchi e poco curati; la sua andatura è scomposta. Riconosce Padre Vilson anche se la sua mente pare annebbiata dal consumo di droghe, in particolare dal crack decisamente più economico e a portata di mano. Arrivati in cima alla collina troviamo alcuni militari armati che presidiano i luoghi più caldi del Morro di Mocotò. Un piccolo contingente di uomini, mostrano le loro armi, scherzano e fumano tra loro osservando il paesaggio dalla balconata in pietra vicino ad un deposito abbandonato. Padre Vilson mi fa notare un piccolo parco giochi dove alcuni ragazzi passano il tempo ridendo e facendosi scherzi ingenui. Quella salita mi ammutolisce profondamente, le persone vivono in grande miseria ed in pessime condizioni sanitarie.

Tutto è buio, non ci sono filtri, l’immagine non è in HD, le riprese sono sfocate e di prima mano, qui non c’è spazio per un furtivo ritocco. Una piccola chiesa ci accoglie, Padre Vilson celebra qui, ogni giovedì sera, la messa. Un luogo spoglio, essenziale, qualche ventilatore, alcuni banchi in legno e un unico crocifisso appeso alla parete. Il rituale è profondo, identitario e letteralmente unificante. Le persone che entrano in quell’edificio si fermano nel tempo in un “non spazio” sacro. Ci si abbraccia, si spezza e si divide il pane, ma gli abbracci sono densi, unici, pieni di trasporto. In quell’ espressione di identità comunitaria c’è una foto, un’istantanea che non possiede contorni definiti, è incompleta, ma estremamente mistica e rivelatrice.

Due giorni dopo, durante la funzione religiosa serale, mi ritrovo nella comunità rinnovata di Mont Serrat, dove in questo momento vivo a casa di Padre Vilson. Si celebra anche qua una messa molto partecipata.

I canti sono veri e propri inni di gioia, ma raccontato solamente così non potreste capire.

Proverò a farvi suggestionare da un’immagine che mi ha profondamente colpito. Una bambina molto piccola, mentre entra dalla porticina laterale della chiesa, tiene per mano il nonno. Lo guida con il sorriso, ma anche con grande responsabilità. Gli tiene la mano con forza e a testa alta lo accompagna verso i primi banchi. L’anziano signore è completamente cieco e quando la gente lo abbraccia cerca disperatamente di ricambiare riconoscendo i lineamenti dei volti con le mani. La piccola bimba guida le sue mani stanche e rugose con profondo amore e racconta tutta la forza che quella sera ho incontrato in quella suggestiva comunità rinata. Un purgatorio di espiazione, una terra di mezzo dove l’immagine è ancora priva di filtri e ritocchi, ma acquisisce colore ed i contorni si rivelano più chiari e nitidi.

L’ultima messa alla quale ho partecipato si è svolta in pieno centro a Florianopolis, in una zona ricca e di classe sociale medio-alta. Padre Vilson mi raccomanda di togliermi gli infradito ancora impregnate dall’odore acre “da rua”, di lavarmi i piedi un po’ anneriti dallo sporco e di mettermi scarpe e calze bianche. Nella valigia faccio difficoltà a trovarle, sepolte tra maglie immacolate, k-way che san di plastica fusa e scarpe da ginnastica mai utilizzate. Mi metto la camicia, i jeans, un po’ di profumo che non guasta e parto. Mi sento profondamente fuori luogo a percorrere il Morro così impacchettato come un pinguino a nozze e pensare che una settimana fa dall’aereo, vestito in maniera simile, sono sceso.

Finalmente arriviamo dalla chiesa piena di luci e icone; le persone sono vestite e truccate di tutto punto, il crocifisso in fondo alla chiesa, nascosto tra fiori e colonne.

Tutto è bellissimo, le macchine nel parcheggio luccicano come specchi che riflettono i fari delle altre autovetture. Un barbone ci indica la strada per parcheggiare.

Tutti conoscono Padre Vilson.

All’interno dell’edificio un grande condizionatore crea un clima a dir poco paradisiaco. Qua la funzione religiosa è complessa, liturgicamente completa. La foto è nitida, ritoccata, decisamente modificata e filtrata. Mi prendo finalmente del tempo per scattare una foto e postarla su instagram. Seleziono e controllo la sua qualità in modo da renderla estremamente perfetta.

Riceve tantissimi “like”.

Mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi pensato di fare lo stesso la prima sera, salendo a piedi per il Morro de Mocotò; quanti “like” avrebbe preso quella prima foto scattata agli inferi, oscura e sfocata.

Nell’inferno in salita ho incontrato i negativi di una vita sottosopra che urla e si strappa la carne.

Nell’inferno in salita ho trovato il paradiso in quel crocifisso di legno che ha scelto, quella sera, di non parlare e non mostrarsi.

Di farlo, sì, ma in silenzio.

Continua…

Per recuperare la 1° Puntata

Per recuperare la 2° Puntata

4° Puntata

Altre esperienze di tirocinio nella Laurea Magistrale in Media Education:
Cosa c’è di educativo nella robotica? di Valentina Piccoli

Identidade, imagem e três missas

Na noite de quinta-feira subimos.

No Morro de Mocotó a subida é muito íngreme e as casas são espalhadas por cada pequeno espaço livre para cobrir um solo friável, por vezes lamacento e pouco plano. Nesta subida ao abismo, cada grupo conta uma história, cada pessoa que você encontra no escuro se funde com as paredes grafitadas. De vez em quando, aqui e ali, você pode ouvir vozes, luzes se acenderem, músicas funky são cantadas. A vida pulsante como um formigueiro coberto, um grupo de meninas nos cantos fumam maconha.

Para a subida ao morro, nunca estamos sozinhos. Enxames de cachorros de rua alinham nossos passos e fogem como pombos na praça ao menor ruído. O lixo pisado gruda na sola de borracha dos chinelos e o cheiro forte se mistura com a umidade sufocante da noite. Uma senhora se junta a nós, ela tem três enormes cistos no peito e seu cabelo é curto, seco e mal cuidado; seu andamento é desajustado. Ela reconhece padre Vilson mesmo que a mente dela parece estar obscurecida pelo uso de drogas, particularmente do crack decididamente mais barato e acessível. Chegamos ao topo da colina e encontramos alguns policiais armados controlando os lugares mais quentes do Morro do Mocotó. Um pequeno contingente de homens mostra suas armas, brincam e fumam observando a paisagem do mirante de pedra perto de um depósito abandonado. O padre Vilson aponta para mim um pequeno parque onde alguns garotos passam o tempo rindo e fazendo piadas ingênuas. Essa subida me deixa profundamente calado, as pessoas vivem em grande miséria e em condições de saúde precárias.

Tudo está escuro, não há filtros, a imagem não está em HD, as gravações são embaçadas e de primeira mão, não há espaço para um toque furtivo aqui. Uma pequena igreja nos recebe, o padre Vilson celebra a missa aqui todas as quintas-feiras à noite. Um lugar vazio e essencial, alguns ventiladores, alguns bancos de madeira e um único crucifixo pendurado na parede. O ritual é profundo, de identificação e literalmente uni todos. As pessoas que entram naquele edifício param no tempo em um “não espaço” sagrado. Abraçam-se, partilha-se e divide-se o pão, mas os abraços são densos, únicos, cheios de transporte. Nessa expressão de identidade comunitária existe uma foto, uma instantânea que não tem contornos definidos, é incompleta, mas extremamente mística e reveladora.

Dois dias depois, durante o culto religioso da noite, encontro-me na comunidade renovada do Monte Serrat, onde neste momento moro na casa do padre Vilson. Uma missa muito frequentada também é celebrada aqui.

As músicas são verdadeiros hinos de alegria, mas descrito assim não podem entender.

Vou tentar fazer com que você se sinta influenciado por uma imagem que me impressionou profundamente. Uma criança muito pequena, segurando a mão de seu avô quando ela entra pela porta lateral da igreja. Ela o guia com um sorriso, mas também com grande responsabilidade. Ela segura a mão com firmeza e com a cabeça erguida, vai para os primeiros bancos. O senhor idoso é completamente cego e quando as pessoas o abraçam, ele tenta desesperadamente retribuir, reconhecendo as características dos rostos com as mãos. A garotinha guia suas mãos cansadas e enrugadas com profundo amor e conta toda a força que encontrei naquela evocativa comunidade renascida aquela noite. Um purgatório da expiação, um meio termo onde a imagem ainda é desprovida de filtros e retoques, mas adquire cor e os contornos são mais claros e nítidos.

A última missa que participei foi realizada no centro de Florianópolis, em um bairro rico, de classe social médio-alta. O padre Vilson me aconselha a tirar meus chinelos ainda impregnados com o cheiro acre “da rua”, lavar meus pés enegrecidos pela sujeira e calçar sapatos e meias brancas. Na mala, acho difícil encontrá-los, enterrados em camisetas imaculadas, k-way feitos de plástico derretido e tênis nunca usados. Coloquei minha camisa, meu jeans, um pouco de perfume e saí. Sinto-me profundamente deslocado por andar no Morro como um pinguim em um casamento e pensar que há uma semana desci do avião de uma maneira parecida.

Finalmente chegamos à igreja cheia de luzes e ícones; as pessoas estão bem vestidas e maquiadas, o crucifixo na parte de trás da igreja, escondido entre flores e colunas.

Tudo é lindo, os carros no estacionamento brilham como espelhos que refletem os faróis de outros carros. Um morador de rua nos mostra o caminho para estacionar.

Todo mundo conhece o padre Vilson.

Dentro da igreja, um grande ar condicionado cria um clima que é nada menos que celestial. Aqui a função religiosa é complexa, liturgicamente completa. A foto é nítida, retocada, modificada e filtrada. Finalmente aproveito para tirar uma foto e postar no Instagram. Eu seleciono e verifico sua qualidade para torná-la extremamente perfeita.

Ela recebe muitos “likes”.

Pergunto-me o que teria acontecido se eu tivesse pensado em fazer o mesmo na primeira noite, subindo a pé para o Morro de Mocotó; quantos “like” teria aquela primeira foto tirada no abismo, escura e embaçada.

No inferno em subida, eu encontrei os pontos negativos de uma vida de cabeça para baixo que grita e rasga a carne.

No inferno em subida, achei o paraíso naquele crucifixo de madeira que ele escolheu, naquela noite, para não falar e não se mostrar.

Para fazê-lo, sim, mas em silêncio.

Tradução de Enrica Ranno
Educadora Social

Il mio nome è Matteo Mancini, ho 27 anni e provengo da un piccolo paese della provincia di Cuneo, Mondovì.
Sono un educatore professionale, lavoro in una Cooperativa sociale chiamata Caracol. I primi Indios del Chiapas in Messico avevano profonda considerazione per la figura del Caracol (chiocciola), che rappresentava l’entrata verso il cuore, la conoscenza e anche l’uscita dal cuore per andare nel mondo.
Con il Caracol si richiamava la collettività affinchè la parola scorresse dall’uno all’altro e nascesse accordo; il caracol era d’aiuto affinchè l’orecchio udisse anche la parola lontana.
Recentemente, con l’Università Cattolica di Milano, in seno a Scienze della formazione ho iniziato un percorso di laurea magistrale in MediaEducation che mi sta dando la possibilità di intraprendere un tirocinio estero.
In questo percorso si articola un viaggio frutto di un’esperienza che vuole farmi maturare sia a livello professionale, che umano.
Sappiamo quanto sia importante non smettere mai di imparare, di formarsi e di conoscere; a volte altre culture, altri usi e costumi arricchiscono il nostro bagaglio esperienziale facendoci maturare visioni e prospettive, che non saremmo stati in grado di intravedere senza.
Ho scelto dunque di partire per il Brasile, precisamente a Florianopolis (Santa Catarina) e a Sao Paulo per conoscere due precise realtà che mi racconteranno come ogni giorno l’educazione si confronta con il difficile quotidiano, interrogandosi sulle corrette pratiche d’intervento per portare professionalità e possibilità legate alla costruzione collaborativa di una vita sociale armoniosa, ricca e degna di essere vissuta.
La prima realtà osservata sarà il contesto sociale di Florianopolis che mi vedrà ospitato all’interno della complessa rete dell’Istituto Padre Vilson Groh e mi porterà ad interagire attivamente con la Universidade Federal de Santa Catarina
La seconda realtà osservata sarà L’istituto Paulo Freire di Sao Paulo.
Obrigado.

Univ. Cattolica del Sacro Cuore
Largo Fra Agostino Gemelli, 1 - 20123 Milano
Tel. 02-72343038 / 02-72343036 (direzione)
info[at]cremit.it


facebook instagram vimeo twitter linkedin telegram

Web site developed by Gianni Messina
© CREMIT tutti i diritti riservati