“La scuola a casa dello studente”, un corso di perfezionamento per fare scuola in situazioni didattiche non standard

di Alessandra Carenzio

“La scuola a casa dello studente”, un corso di perfezionamento per fare scuola in situazioni didattiche non standard

“La scuola a casa dello studente”, un corso di perfezionamento per fare scuola in situazioni didattiche non standard


di Alessandra Carenzio

Simona Ferrari apre il seminario condividendo un elemento chiave, ovvero l’esigenza di formare i docenti impegnati nell’istruzione domiciliare, considerata come un esempio di didattica non standard (SDiNS, Situazioni Didattiche Non Standard, ne abbiamo parlato qui).

Per descrivere la situazione didattica possiamo utilizzare tre nodi, a partire dal triangolo pedagogico di Houssaye: l’insegnante, il sapere e l’allievo (e altrettante posture, ovvero formare, apprendere, insegnare). Gli studenti portano nella situazione didattica saperi e pratiche non formalizzati che interrogano il docente e lo studente stesso, mentre il digitale entra in gioco in tutti e tre i vertici, pensando anche alle competenze che devono essere costruite ed allenate.

Ma cosa succede in una SDiNS, quando all’insegnante viene sottratta la possibilità di fare scuola in modo “normale” (Rivoltella, 2016), quando il dispositivo di scuola salta? Pensiamo alla scuola in ospedale, alle piccole scuole, al carcere, al CPIA, alla scuola a casa dello studente.

Il dispositivo di scuola predispone un certo tipo di spazio e di tempo dentro il quale i corpi e le relazione si sistemano (Cappa, 2009), incidendo sulla fatica della progettazione e del lavoro sul metodo, includendo anche la normativa (regole e comportamenti).

Si tratta allora di vincoli e aspettative, sempre secondo Cappa, per organizzare la didattica e come agire nella relazione educativa.

Nel caso delle SDiNS il dispositivo si allenta. Pensiamo ai corpi malati, ai corpi differenziati, ai corpi vissuti e feriti o reclusi. La scuola a casa dello studente si fa carico dei nuovi bisogni dei corsi e degli studenti. Ecco che il corso, insieme all’USR, percorre in un modulo il tema del corpo in adolescenza e pre-adolescenza, pensando alla guarigione e al ritiro sociale, dove il dispositivo di scuola perde i tratti abituali. La scuola a casa è una scuola ospite, dove il contratto formativo e le regole assumono un peso particolare, nella logica del one-to-one teaching, tempi brevi discontinui, con la necessità di un docente flessibile, in un curriculum essenziale. Ma prese anche un corpo come tabù.

Occorre immaginare una situazione nella quale lo studente sia coinvolto nel processo di costruzione di conoscenza (Cacciamani, 2004) per un apprendimento significativo (basato sulle esperienze pregresse, con un soggetto attivo intenzionalmente coinvolto, collaborativo, prevedendo la conversazione e la riflessione), micro (questioni piccole, selezionate) attraverso organizzatori anticipati e deve essere incarnato (embodied cognition). Secondo il neocostruttivismo, la qualità delle interazioni con l’ambiente fisico e sociale può influire sulla capacità dell’individuo di comprendere e relazionarsi con successo con altre persone e sviluppare strategie adattive nel suo contesto di vita.

Dopo la cornice teorica, Bruna Baggio e Laura Fiorini dell’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia hanno sintetizzato gli aspetti centrali della scuola in ospedale e dell’istruzione domiciliare, due realtà del nostro sistema di istruzione e formazione a presidio della dispersione scolastica e a salvaguardia del principio di inclusione, adattando la scuola ai bisogni degli studenti. Non ci sono pari opportunità se non c’è flessibilità nell’adattamento della scuola ai bisogni degli studenti.

La prima scuola in ospedale è del 1950, nel Policlinico Umberto I e poi nel 1959 a Niguarda, raccontando una consapevolezza del mondo sanitario che si interrogava sulla scuola dei propri pazienti, con insegnanti e volontari per continuare la scuola in periodi di ricoveri – molto più lunghi di oggi – prevalentemente nelle pediatrie, con scuola dell’infanzia e primaria. SI trattava di attività ludiche e di accudimento, senza valutazione (o con valutazione sporadica) e senza confronto con la scuola di appartenenza. Oggi la SiO è una realtà in crescita, di sistema e non più un progetto, ma un servizio della scuola. La sfida è fare rete tra i docenti di istruzione domiciliare, la scuola polo, le famiglie, la scuola di appartenenza.

Nella seconda parte del pomeriggio, Federica Pelizzari (coordinatrice didattica del corso) ha presentato l’impalcatura del corso, organizzato in dual mode. Quattro moduli, con la medesima impostazione, con una prima lezione in aula di 4 ore (2 teoriche e 2 di lavoro in piccolo gruppo organizzato in maniera differente per attivare la riflessione) e un momento online (con video lezioni e materiali). Alla fine del modulo si terrà un webinar in sincrono per il debriefing e il dialogo con le pratiche dell’aula, un test di autovalutazione e una e-tivity immaginata come compito autentico. A questo si aggiunge 1 ora di webinar con il tutor del corso in relazione al project work.

I lavori si chiudono con la presentazione di alcuni casi specifici, presentati da Monica Capuzzi ed Emanuela D’Ambros, referenti per la scuola in ospedale e l’istruzione domiciliare per l’Ufficio Scolastico della Lombardia.

Una battuta di chiusura, che riprendiamo dall’intervento della dott,dott.ssa Baggio: tutti hanno il diritto di studiare (e di apprendere). L’obiettivo della scuola in ospedale e domiciliare è di renderlo possibile.

Qui le informazioni per accedere alla presentazione del corso: https://formazionecontinua.unicatt.it/formazione-la-scuola-a-casa-dello-studente-metodi-e-strumenti-per-la-didattica-domiciliare-e224bs003911-01.

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